Archivio lettere

 

17. Sul tempo necessario per favorire un’alleanza. 1 novembre 2018

16. Sul riconoscere le emozioni. 25 luglio 2016

15. Sul cercare un punto d’incontro felice. 20 dicembre 2015

14.  La felicità è più forte dell’oblio?  5 ottobre 2015

13.  La volontà si esprime solo con le parole? (un commento alla LETTERA 12) 4 ottobre 2015

12. Chi è che soffre?  17 settembre 2015

Gentile dottore, la disturbavo per chiederle un parere su mia madre che sta molto male. … (segue)


11. Dal problema dell’alimentazione al problema del vivere e del morire.4 settembre 2015

Buongiorno. Rieccomi a chiederle un consiglio. Qualche giorno fa ho parlato con il medico di mamma: Alzheimer allo stadio finale. Il suo peso è arrivato a 38 kg. per un altezza di 160 cm. … (segue)


10. Sull’anziano soporoso e dolorante. 16 luglio 2015

Buongiorno, sono una Psicologa, iscritta al master di II Livello in Psicogeratria attivato dalla Sapienza, presso l’Ospedale Sant’Andrea in Roma.
Sto frequentando il tirocinio curriculare presso il Reparto di Geriatria del succitato Ospedale. Vorrei elaborare una tesi sull’utilizzo dell’Approccio Capacitante. Ho provato ad usarlo con gli anziani affetti da demenza ricoverati, ma sto incontrando molte difficoltà: gli anziani allettati sono soporosi, doloranti…
Secondo la vostra esperienza è possibile utilizzarlo in condizioni di acuzie? (lettera firmata)

Buongiorno.

1.E’ possibile, sì, utilizzare l’Approccio capacitante in situazioni di acuzie, in particolare in occasione di delirium e altri BPSD. Ovviamente è più difficile e conviene prima diventare esperti di Approccio capacitante in condizioni di vita quotidiana.

2.Quanto al paziente soporoso credo sia importante rispettarlo nel suo sopore e indagare sulle sue origini. Se è da farmaci bisogna rivalutare la terapia. Se è da rifiuto delle relazioni e della vita il discorso è più lungo: bisogna capirne il senso e parlarne con l’anziano; bisogna prevenirlo utilizzando l’ Approccio capacitante 24 ore su 24; se si prova a parlare bisogna cominciare a parlare con l’anziano del suo sopore. In qualche caso il sopore è l’espressione dell’estrema lentezza del vivere del grande anziano encefalovasculopatico: per interagire dobbiamo imparare a essere lenti come lui, rispettare la sua lentezza, le sue pause e i suoi silenzi, senza essere incalzanti, senza abbandonarlo,  ma continuando a essere presenti e attenti (qui, ora, con te).

3.In modo analogo, con l’anziano dolorante bisogna innanzitutto prenderlo sul serio, offrirgli il riconoscimento del suo dolore e restituirglirisposte di effettività (le sue parole e i suoi lamenti devono produrre degli effetti visibili e congruenti): valutare l’origine del suo dolore e trattarlo in modo appropriato (ricordarsi dei dolori da malposizionamento, da stipsi, da globo vescicale, da anticolinesterasici, …); parlare del suo dolore; cercare risposte pratiche per attenuare il dolore (riposizionamento, massaggio, esercizi di stazione eretta, farmaci, …). Cordiali saluti Pietro Vigorelli


9. Sulla contenzione. 4 maggio 2015

1 maggio 2015 Buongiorno, ho bisogno di un consiglio. Mamma malata di Alzhaimer ormai all’ultimo stadio, agitazione anche durante la notte, ha una cintura di contenzione a letto per la sua sicurezza, altrimenti cadrebbe dal letto anche con le spondine. Venerdi mi sono accorta che aveva la cintura larga di circa 4-5 centimeti di diametro… e era pericoloso, ho chiesto di stringerla ma erano finiti i buchi…. e lei si sfilava… ho chiesto i immobilizzarle le gambe per sicurezza… che cosa posso fare altro in alternativa… oltre ad avere la cintura della misura corretta… posso chiedere che venga abbassato il letto, messi dei materassi a terra in modo che se cade non si faccia male… o immobilizzarla è la cosa migliore? Vi ringrazio per l’aiuto. V.

3 maggio 2015 Gentile signora V., il problema di sua madre è di quelli più difficili da affrontare. Così da lontano posso darle solo qualche spunto di riflessione e qualche consiglio. Quando la malattia di Alzheimer è in stadio avanzato come mi dice di sua madre, l’agitazione si accompagna al rischio di cadute e di fratture, in particolare di femore.Purtroppo l’uso della contenzione fisica (con le spondine e la cintura) che si fa per diminuire il rischio di cadute aumenta l’agitazione.In queste condizioni credo che non sia bene darsi come primo obiettivo la massima sicurezza possibile a costo di una qualità di vita pessima, come quella che si ha quando ci si sente imprigionati. Io eviterei di immobilizzare anche le gambe. Forse l’aggiustamento dei farmaci sedativi potrebbe aiutare. Ma soprattutto lei cerchi di concentrarsi sul qui e ora quando è vicino a sua madre: le parli lentamente e con voce pacata, anche se sua mamma non sembra capire.Quando le parla, faccia delle pause, stia anche un po’ in silenzio e in ascolto di eventuali sue reazioni, per cercare di rispondere a quelle. Anche il contatto fisico, per esempio mettendo la mano sulla mano, spesso dà un po’ di sollievo. Se le sue emozioni sono poi troppo forti, non si lasci sommergere: saluti e vada via, prenda aria per se stessa. E’ suo dovere cercare di vivere bene nonostante le difficoltà dell’assistenza a sua madre. Un caro saluto. Pietro Vigorelli

4 maggio 2015 Buongiorno, grazie per i consigli… con il medico abbiamo optato per posizionare il letto per due lati vicino al muro,  abbassare al massimo il letto, abbassare la spondina e mettere sotto un materasso. La mia paura era la sicurezza… ma già dai giorni successivi era più tranquilla. Per quanto riguarda il contatto lo avevo notato anch’io che quando le  tocco la mano si tranquillizza… se è abbastanza calma si rilassa di più se le accarezzo le gambe. Quello che mi lascia spiazzata è vederla passare dal parlare con persone che non ci sono a chiedermi se sto bene e se andrò a trovarla il giorno successivo.  Sembrano due persone diverse anche se ovviamente la seconda azione succede molto molto di rado… quando accade mi sento in difetto di non darle abbastanza tempo… Grazie per i consigli. V.

4 maggio 2015 Buongiorno. Quello che mi racconta di sua madre è la conferma che chi è malato di demenza non è solo una persona smemorata e confusa e non è sempre uguale. Nella mia esperienza ho imparato che è utile tenerne conto, sia per chi è malato che per me. Ho imparato quanto sia importante vivere nel momento presente, il qui e ora di ogni momento della giornata. Osservo e ascolto sempre con attenzione e quando vedo emergere un io sano dialogo con questo, con grande soddisfazione.Quanto al sentirsi in colpa è inevitabile, ma deriva da un errore di valutazione: chi è malato di Alzheimer è davvero malato, ha un cervello malato. Chi assiste, come lei, cerca di fare bene e di diventare esperto nel curare, dedica tempo e affetto; ma deve anche pensare a se stesso e agli altri. Nel cammino dei 12 Passi che propongo nel libro “Il Gruppo ABC. Un metodo di autoaiuto per i familiari di malati Alzheimer” (Ed. Franco Angeli) gli ultimi due Passi, 11° e 12°, sono “Accettare la malattia” e “Occuparsi del proprio benessere“. Sono gli ultimi perché sono i più difficili. Buon cammino!  Pietro Vigorelli


8. Sulla ripetitività di una persona con demenza

20 luglio 2014

Salve, le scrivo riguardo a mia madre a cui cinque anni fa è stata diagnosticata una demenza fronto-temporale.  Da un anno è ospite di un centro diurno perché non potevamo lasciarla a casa con mio padre di 84 anni. Da un mese circa ripete in maniera ossessiva di voler parlare con una sua zia che vive in Cile e, anche se le telefoniamo e lei le parla, appena due minuti dopo ricomincia a ripetere di volerla chiamare. Non so più che pesci prendere… (lettera firmata)

Buongiorno. La situazione che si trova ad affrontare capita di frequente e mette in grande difficoltà. Il comportamento della mamma che sembra ossessivo e risulta noioso al limite del sopportabile, dipende dalla malattia: la mamma, dopo due minuti dalla telefonata in Cile (spero che sia con Skype!), ha già dimenticato di aver parlato con sua zia (a proposito, è una zia o una sorella?). E’ incredibile ma è proprio così. Il comportamento di sua madre, però, ci fa capire anche un suo desiderio normale e semplice: vuole avere vicino la zia, sentirla e parlare con lei e di lei. Io non so il perché, forse lo sapete voi, ma il suo desiderio è chiaro e anche accettabile. Dato che però non può passare la giornata al telefono, provi a parlare con lei della zia, cercate insieme di ricordare qualche episodio di vita, un regalo o una manifestazione di affetto. Potrebbe anche tenere esposta una sua fotografia e concordare, per esempio, di telefonarle una volta alla settimana. In questo modo lei riuscirà a interagire anche con la parte sana di sua mamma e non solo con quella malata, quella che si dimentica e si ripete in continuazione.

Non si aspetti però grandi risultati. La demenza fronto-temporale è una malattia sorprendente. Attualmente non abbiamo a disposizione terapie efficaci. Quando capita, ci resta solo l’accettazione: quanto più riuscirà ad accettare che sua madre è diventata così com’è, tanto più lei, signora Paola, riuscirà a stare bene e ad assisterla nel modo migliore.  Pietro Vigorelli


7. Sulla responsabilità e il maltrattamento

4 giugno 2014

Buongiorno, mi ha fatto tanto piacere essere all’incontro l’altra sera e ho già letto il suo libro Aria nuova nelle Case per Anziani, sempre coinvolgente e assolutamente allineato con quanto sto ora vivendo personalmente,  avendo ricoverato papà in una RSA da alcuni mesi. Purtroppo in questa pur famosa struttura  non sanno nemmeno cosa sia il significato di accoglienza, capacità residue e approccio capacitante: papà è stato privato dell’orologio, degli occhiali e degli apparecchi acustici e credo di vedere già nei suoi occhi una rassegnazione che francamente non mi piace. Ho già parlato con il Direttore della struttura ben due volte. Una delle sue risposte è stata che gli addetti non possono prendersi le responsabilità in quanto cambiano in continuazione i turni e quelli che ci sono al mattino non ci sono alla sera e di conseguenza non possono prendersi carico degli oggetti di mio papà. Non ho speranze e non vedo possibilità di cambiamenti nell’atteggiamento della struttura. Qualsiasi aiuto che potrà darmi nel ricercare strutture adatte sarà prezioso per me. Grazie mille dell’attenzione Rita

Gentile signora, sapevo che queste cose succedono, ma sentirle da lei, descritte così sobriamente, come se fossero quasi inevitabili, mi ha prima indignato, poi paralizzato, mettendo a dura prova il mio animo resiliente. Adesso però mi sono riavuto dallo shock, non posso tacere e le rispondo. Privare un uomo di orologio, occhiali e protesi acustica provoca conseguenze gravissime e rapide: la persona si isola dal mondo, si disorienta, si rassegna, si spegne. Forse il papà si è già chiuso, presenta segni di decadimento cognitivo già gravi e in struttura credono che non sia più grado di capire nulla, nemmeno di rendersi conto se è accudito bene o male. Lei può insistere, ne ha pieno diritto, perché suo padre possa riappropriarsi subito di orologio, occhiali e protesi acustica, anche se ha una demenza in fase avanzata, anche se non sappiamo a che cosa gli servono. Pietro Vigorelli


6. Sulla dignità e l’autonomia degli anziani in RSA

30 maggio 2014

Pubblico questa lettera senza commento perchè sia di stimolo a noi operatori per capire il mondo degli anziani che vivono nelle RSA e per avviare seri programmi di cambiamento.

Mercoledì ho partecipato al Seminario Multiprofessionale Anchise 2014 L’ApproccioCapacitante. Progetti ed esperienze nelle RSA (…). Faceva molto caldo quel pomeriggio, ma ho risentito quell’aria nuova e fresca di quando ho letto il suo libro “Aria nuova nelle case per anziani”. Quando, ormai dieci anni fa, lavoravo come massofisioterapista nelle case di riposo (non erano case per anziani), non avevo il permesso di portare gli ospiti (non mi è mai piaciuta questa dicitura, se uno deve sentirsi in casa sua, perché deve essere un ospite? Un ospite è uno che rimane qualche ora, max qualche giorno e poi se ne va e la casa dove si trova non è la sua) in bagno, ma quando le persone avevano bisogno di andare in bagno gli operatori erano sempre occupati nelle loro faccende e non avevano tempo, rispondevano di farla nel pannolino. Per me non era dignitoso, allora le portavo io di nascosto, sperando che non si facessero male, ma loro erano contente e mi ringraziavano. Mi ricordo che c’era Giuseppina, una signora che secondo me avrebbe potuto vivere in casa sua da sola con qualche piccolo aiuto Le avevano detto che sarebbe rimasta solo qualche giorno, ma non era vero e lei si era chiusa nel silenzio e non voleva mai uscire dalla sua stanza. Il nuovo direttore sanitario la obbligò a stare in palestra con gli altri e pian piano partecipò a delle attività come quella della semina in vaso (era stata una fioraia). Aveva un bastone e aveva bisogno di un ulteriore aiuto, del sostegno di una persona, per camminare. Un giorno, ero con lei in palestra, si è alzata dalla sedia come se niente fosse e ha improvvisato un balletto alla Charlie Chaplin roteando il suo bastone! Poi aveva voluto imparare a prendere la cioccolata dalla macchinetta da sola e così tornava ogni giorno sempre più indipendente, ma ecco che questa sua indipendenza iniziava a creare dei problemi (?) e in una riunione d’équipe il medico aveva deciso di sedarla perché troppo indipendente… Io invece avrei voluto chiedere ai suoi figli di portarla via da lì perché non era il suo posto… Molti si intristiscono entrando in una casa di riposo, io invece ho sempre cercato di renderla nel mio piccolo vivibile il più felicemente possibile per chi ci doveva stare. C’era un altro anziano che mentre lo si aiutava a deambulare bastava fermarsi alla finestra per vedere il campanile del paese vicino e iniziava il suo racconto di aneddoti sulle persone, sui modi di dire, sui proverbi della zona. Questo bastava a renderlo tranquillo tutto il giorno, altrimenti rimaneva agitato, arrabbiato e intrattabile. L’Approccio Capacitante dovrebbe essere la normalità, il logico e naturale comportamento che dovremmo avere tutti. E non serve chissà che, è alla portata di tutti. I miei più cordiali saluti (lettera firmata)


5. Sull’imparare dall’esperienza

10 aprile 2014

Buonasera, mio marito, 84 anni, soffre di lieve parkinsonismo vascolare, malattia di Biswanger e decadimento cognitivo. E’ in cura presso un ospedale di Milano dove viviamo per le cure mediche. Ha problemi a formulare le parole, ma la sua comprensione è buona, sia pure a fasi alterne. Vive in casa con me e sono supportata da aiuti per la vita pratica. Mi rivolgo a voi per avere qualche info sulla vita quotidiana: è meglio stimolarlo a fare da sé o fare cose per lui? fargli domande? è spesso assopito. Grazie se potete informarmi anche su qualche testo da leggere. Ho letto di Vigorelli “La conversazione possibile con il malato alzheimer” (Editore Franco Angeli) e mi ha aiutato, anche se la condizione di mio marito non è l’Alzheimer. C’è qualche testo che potete consigliarmi più aderente alla sua condizione?. Grazie Paola G.

Cara signora Paola, nel risponderle credo che bisogni cominciare da una spiegazione della diagnosi. Quando il medico parla di lieve parkinsonismo vascolare, malattia di Biswanger e decadimento cognitivo, utilizza delle parole che hanno un significato chiaro all’interno della cerchia medica, ma che al di fuori di questa cerchia risultano un po’ misteriose e impressionanti. Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di uno strano morbo e che solo il medico possa spiegare che cosa sta succedendo al povero paziente. La realtà è più semplice: suo marito sta vivendo un invecchiamento sfortunato in cui le arterie del cervello sono ristrette e irrigidite dall’aterosclerosi. Tutti ne soffriamo, ma qualcuno di più, a causa di vari fattori come ipertensione, ipercolesterolemia,  diabete, sovrappeso, fumo di sigaretta. Quanto più le arterie del cervello sono danneggiate, tanto meno sangue arriva e tanto più evidenti sono i sintomi. Dal punto di vista medico bisogna cercare di prevenire e curare l’aterosclerosi con la prevenzione e il trattamento dei fattori modificabili (dieta appropriata, attività fisica, attività sociali gratificanti, farmaci).

Dopo questa premessa torno alle sue domande: è meglio stimolarlo a fare da sé o fare cose per lui? fargli domande ? è spesso assopito. Le propongo due indicazioni che nascono dall’esperienza:

1.Faccia attenzione alle reazioni di suo marito: se quando lo stimola lui si infastidisce, non lo stimoli più;  se quando lo stimola invece lui è contento di partecipare, lo faccia ancora.

2.Tenga conto che suo marito è lento sia nel camminare che nel muoversi, nel parlare e nel pensare. Per riuscire a stare bene insieme è importante che lei si adatti a questa lentezza, rispetti i suoi tempi e le sue pause. Quando parlate gli lasci tutto il tempo necessario, senza interromperlo, senza correggerlo, senza completargli le frasi e anche senza incoraggiarlo. Vedrà che questo suo atteggiamento permetterà a suo marito di parlare un po’ di più e più volentieri, anche se non è lei a stimolarlo.

Quanto ai libri gliene consiglio due: L’Approccio capacitante; Alzheimer senza paura.

Un saluto affettuoso Pietro Vigorelli.


4. Sulla comunicazione della diagnosi

7 aprile 2014

Gentile Dottore del Gruppo Anchise, anzitutto mi complimento per l’iniziativa e il lavoro che portate avanti. Chi ha a che fare con l’Alzheimer è spesso lasciato solo e le vostre strutture sono senza dubbio un salvagente per chi, come me, ha bisogno di consigli e sostegno. Mio padre ha 78 anni, risiede in provincia di Reggio Calabria, e, dopo una serie di accertamenti clinici (TAC cerebrale, analisi del sangue, test, ecc.), il neurologo dell’ASP gli ha diagnosticato un probabile Alzheimer, per cui da gennaio di quest’anno prende ogni sera il donepezil 10 mg. Per ora la malattia sembra essere allo stadio iniziale. Mio padre ancora guida l’auto, si orienta bene e sa fare i conti. Tuttavia soffre spesso di amnesie, accusa gli altri di aver preso cose che lui non riesce più a trovare ed ultimamente è diventato molto aggressivo nei confronti di chiunque lo contraddice, arrivando persino a mettere le mani al collo del malcapitato (una volta lo ha fatto anche con me e persino con mia madre). Il problema che però ci assilla più di ogni altro (almeno per ora) è che lui è attualmente gestore di un distributore di carburanti, mestiere che ricopre da quando aveva 25 anni, e non ha nessuna intenzione di dimettersi o di lasciare il posto a qualcun altro. Inutile che le dica che anche economicamente il distributore va male, il bilancio annuale è in perdita per migliaia di euro, e tutte le persone con cui ha a che fare per lavoro (il commercialista, il consulente, la società petrolifera proprietaria dell’impianto, ecc.) gli hanno già consigliato di farsi da parte, ma proprio non ne vuole sapere. Ho anche parlato con la società proprietaria dell’impianto, per vedere di farlo licenziare, ma loro mi hanno detto di avere le mani legate, perché se lo facessero dovrebbero pagargli una penale piuttosto salata. Mio padre dice sempre che prima di dimettersi deve recuperare tutti i crediti che ha concesso ad alcuni clienti, ai quali però continua a fare credito e in questo modo, come può immaginare, è praticamente impossibile che li recuperi! E a nulla vale tentare di fargli capire che i crediti da recuperare sono di gran lunga inferiori alle perdite annuali che causa la sua gestione del distributore. A ciò si aggiunge che il distributore si trova a 50 km da dove lui risiede e, quasi giornalmente, lui continua ad andare sul posto in auto, esponendo sé stesso e gli altri a seri pericoli, più che mai elevati, vista la sua condizione  di settantottenne affetto da demenza! Io e mia madre abbiamo tentato più volte di farlo desistere, ma invano. Anzi, ogni volta che cerchiamo di metterlo di fronte all’evidenza dei fatti, reagisce con rabbia, negando ogni cosa. Il medico di base  ci ha consigliato di dargli un calmante quando lui diventa aggressivo; ma anche se poi si calma, rimane cocciutamente convinto delle sue posizioni. Del resto adesso ha sviluppato una diffidenza tale che non vuole farsi vedere da nessun altro neurologo che non sia quello dell’ASP che gli ha diagnosticato la malattia, il quale però non è reperibile quando ne abbiamo bisogno e la prossima visita è fissata tra tre mesi! Per questo non mi rimane che chiedere consiglio a lei. Forse sbagliamo nel modo di approcciare con lui, che non è più la persona che conoscevamo. Del resto mai nessuno ci ha spiegato come farlo. Grazie e cordiali saluti Francesco S.

Gentile Francesco, da quello che leggo i problemi sono grandi, sia i suoi che quelli di suo padre.

I suoi, limitandomi alla lettera, sono fin troppo concreti e evidenti: è preoccupato perché suo padre potrebbe causare incidenti gravi con l’auto e potrebbe aggravare la situazione economica propria e della famiglia.

Dal punto di vista di suo padre la situazione è diversa. Il suo comportamento che da una parte sembra frutto della demenza dall’altra è invece l’espressione del suo io sano, un io che persiste nonostante la malattia. Suo padre è sempre stato un lavoratore e vuole continuare a esserlo; ha rilasciato dei crediti e vuole che rientrino; sa guidare l’auto e vuole continuare a farlo; è un signore che ha sempre portato avanti dignitosamente la propria vita e non ama essere corretto, anzi, quando è messo di fronte ai propri errori si arrabbia. Tutto questo sarebbe normale e positivo se non fosse che suo padre ha una malattia del cervello (probabile malattia di Alzheimer) per cui questi comportamenti, da un certo punto di vista “sani”, lo espongono a grossi rischi.

Il problema di lei, figlio, consiste nel trovare una via d’uscita positiva da questa situazione, pur essendo consapevole che la malattia non può guarire e neppure migliorare.

Azzardo un’ipotesi: che suo padre non sappia chiaramente di avere una “probabile malattia di Alzheimer”, che nessuno glielo abbia detto o che, per non farlo soffrire, glielo abbia detto in modo che lui non lo capisca. Se è così, il modo migliore di affrontare il problema consiste nel parlare apertamente della malattia, in modo che lui capisca.

La questione è delicata e va affrontata con cautela. Bisogna che tutti i familiari stretti siano d’accordo e siano pronti ad accogliere e a reggere le reazioni del papà.

Per fortuna nella sua lettera c’è uno spiraglio: suo padre ha fiducia del neurologo. Probabilmente con il suo aiuto potete riuscire a fare chiarezza e a diventare alleati per affrontare al meglio i problemi che via via si pongono.

La comunicazione della diagnosi, in modo tale che questa venga compresa, a mio parere è una tappa necessaria in un percorso da fare insieme per riuscire a vivere il meglio possibile nonostante la malattia. Cordiali saluti Pietro Vigorelli


3. E’ possibile mantenere il proprio ruolo con la demenza?

13 marzo 2014

Gentile operatore del Gruppo Anchise, grazie per il servizio che rendete! Io ho la mamma che da tre anni soffre di demenza. Premetto che ha più di 86 anni. La cosa buona è che riconosce noi sue figlie, i nipoti e le persone che vede e sente di frequente. Spesso non ricorda che mio padre manca da più di 10 anni. Per lei è vivo, fa fatica a ricordare dove è sepolto; a telefono mi chiede sempre dove mi trovo, spesso chiede dei suoi genitori o persone care.  Dapprima era il tutto della famiglia e, abitando all’estero, teneva i contatti con tutta la sua famiglia e quella di mio padre (in Italia). Tre anni fa dalla TAC è stato rivelato che aveva avuto un’ischemia e due infarti cerebrali. E da allora può immaginare le difficoltà. Non vive sola, ha in casa una badante, perché vuole stare a casa sua e non ha mai voluto sentir parlare di case di riposo per anziani. Vorrei saper se la sua demenza è conseguenza dell’ischemia e dei due infarti cerebrali o se è un tipo di Alzheimer. Con gratitudine attento una sua risposta. Cordiali saluti Sr. Maurilia

Gentile suor Maurilia, la situazione di sua madre dipende sicuramente dalle ischemie cerebrali che ha avuto. Da quello che mi scrive, poi, mi pare che il problema della sua mamma 86enne non sia quello di un approfondimento diagnostico, ma sia piuttosto di come riuscire a far sì che possa mantenere il suo ruolo di centro della famiglia. Certo non lo può più fare come prima, però è ancora possibile parlarle per telefono, rispondere alla sue domande e accompagnarla con le vostre parole in quel mondo un po’ strano e antico in cui lei adesso vive. Soprattutto è importante evitare di farle domande che farebbero emergere le sue difficoltòà di memoria e la metterebbero in imbarazzo. Ci provi, poi magari mi scriva ancora. Cordiali saluti Pietro Vigorelli


2. E’ possibile diminuire lo stress?

13 marzo 2014

Buongiorno, sono una donna di 43 anni, svolgo un’intensa attività lavorativa (intellettuale) e ho due bambini piccoli. Vi scrivo perché ho cominciato a riflettere su una serie di eventi, cognitivi e non, che mi riguardano e che comincio a pensare possano essere collegati tra loro. Di fatto, mi sto chiedendo se sia il caso di effettuare una visita specialistica e qualche accertamento particolare.
Ecco quello che ho osservato:
– Negli ultimi anni ho notato un aumento considerevole di lapsus linguistici. Normalmente si verificano in momenti di forte stanchezza, ma a volte anche in giornate non particolarmente critiche da questo punto di vista. Spesso impiego qualche secondo prima che mi venga in mente la parola giusta da usare (tendo a confondermi con parole foneticamente simili) o, in altri momenti, anticipo parole che dovrei dire molto dopo nella frase; o magari parole che non avrei neanche detto mi si infilano, letteralmente, nella frase che sto formulando, costringendomi a riformulazioni che a volte non sono neanche così ben riuscite.
– Non ho mai avuto una grande memoria, neanche relativamente alle mie stesse esperienze di vita, ma recentemente ho notato anche una maggiore difficoltà a mantenere in memoria sequenze di numeri di lunghezza media (numeri telefonici).
– Recentemente, mi sono accorta che faccio molta più fatica anche a compiere somme e sottrazioni che tempo fa avrei portato a termine molto velocemente. Tipicamente sono anche meno sicura del risultato a cui giungo.
– Inoltre, non so se possa avere una qualche rilevanza, mi sembra di sentire molto meno gli odori e i sapori (ovviamente quando non sono raffreddata).
– Infine, fino ad alcuni mesi fa mi succedeva di toccare una zona del polpaccio sinistro e di avere una sensazione di formicolio circa una spanna più in basso, sempre sullo stesso polpaccio. Questo fatto è andato avanti per circa un paio di anni e adesso non mi succede più. Invece, ultimamente mi pare di avere una sensazione un po’ attutita al tatto in una zona piuttosto piccola della mia schiena (saranno circa 3-4 cm in altezza e in larghezza non saprei) vicino alla colonna vertebrale, sempre a sinistra
Mi rendo conto di aver messo insieme osservazioni molto diverse tra loro, ma ho cominciato a pensare che possa essereci una relazione tra tutti questi eventi e vorrei sapere se è meglio che faccia qualche controllo specifico. E’ vero che ho sempre lavorato moltissimo e negli ultimi anni anche di più, per mantenere una buona produttività nonostante la nascita dei miei due bimbi (compenso spesso con lavoro notturno la carenza di tempo durante la giornata lavorativa). Tuttavia non credo che si possano attribuire tutti questi eventi alla stanchezza accumulata nel tempo. Vi ringrazio in anticipo, se vorrete rispondere a questa mia mail. Vi prego in ogni caso di rispettare la mia privacy e di rendere anonima questa mia richiesta di informazioni. Cordiali saluti Lettera firmata

Gentile signora, provo a risponderle anche se mi mancano alcune informazione importanti, nonostante la precisione della sua descrizione. Se ci sono in famiglia dei casi di malattia di Alzheimer ad insorgenza precoce (prima dei 65 anni) è opportuno valutare la situazione col suo medico. Se non ci sono questi casi, per cominciare le do un consiglio a cui mi pare che lei stia già pensando: è necessario e urgente fare una riorganizzazione della sua vita, anche piccola ma significativa, per ridurre il suo carico di lavoro. Probabilmente è possibile (solo lei lo può sapere), rivedendo qualche priorità, facendosi aiutare e evitando il lavoro serale e notturno. Buon coraggio! Pietro Vigorelli


1. Sulle dimenticanze: una rondine non fa primavera

12 marzo 2014

Gentile Gruppo Anchise, vorrei chiedervi un parere su episodi di problemi di memoria che mi capitano. Vi riporto un esempio: mi viene consegnato un libro da persona di famiglia con richiesta di restituirlo alla biblioteca comunale due giorni dopo. Io prendo il libro lo porto a casa e lo appoggio su un mobile. 15 gg dopo la persona mi chiede se ho riconsegnato il libro e io le dico con sicurezza assoluta che non me lo aveva mai dato, che non è in mio possesso e che non ne so nulla. Il libro invece è a casa mia. Non ho memoria della consegna nemmeno quando mi viene ricordato e viene ritrovato il libro. Ho fatto le analisi del sangue per controllare i livelli di colesterolo ed è tutto a posto. Secondo voi dovrei fare un test per l’Alzheimer? Grazie. Roberta (Macerata)

Gentile Roberta, lei descrive quello che le è successo con una precisione davvero straordinaria. Il suo buco di memoria può dipendere da tanti motivi. Certo potrebbe anche essere un sintomo di malattia, ma più semplicemente potrebbe trattarsi di  scarsa attenzione nel momento della consegna del libro, quando avrebbe dovuto “fissare” il ricordo. Un episodio così isolato, soprattutto in età lavorativa come la sua, non è sufficiente per creare preoccupazione e non richiede nessun tipo di approfondimento. Solo se si ripetessero altri episodi tali da interferire con la sua attività lavorativa e familiare ne parli con il suo medico. Da subito invece non stia a preoccuparsi e non cerchi conferme della sua paura. Buona giornata. Pietro Vigorelli